Le sentinelle di pietra del parco marino

Ecco un piccolo articolo culturale a proposito delle torri di avvistamento nella penisola, basato sulla conferenza “Le Sentinelle di pietra – le Torri di Guardia e di Difesa della Costiera di Amalfi e di Sorrento” organizzata dall’Archeoclub di Massa Lubrense il 30 settembre 2022. C’erano gli interventi di Stefano Rucco (presidente dell’Archeoclub), Salvatore Ferraro (accademico), Giovanni Visetti (cartografo) e Don Mario (ospitante l’evento). Quest’evento è stato l’occasione di saperne di più sulla ricchezza patrimoniale e storica del posto, con i suoi edifici emblematici che sono le torri sparpagliate sulle costiere amalfitana e sorrentina. È stato anche l’occasione di rendere un omaggio all’autore del libro più documentato su questo soggetto¹: Romolo Ercolino, storico di Positano, Massese adottivo che faceva scoprire la storia locale ai ragazzi di Massa, per diffondere le sue conoscenze, non solo con i suoi numerosi libri.

In questo articolo, quello che vorrei mettere a fuoco è la storia e l’esistenza delle torri sulle coste del parco. Tra le 46 studiate nel libro (da Castellammare fino a Vietri sul mare), le torri di cui trattiamo sono 13.

Mappa delle torri sulle coste dell’AMP (mappa : OpenStreetMap)

Storia delle torri di avvistamento

Per iniziare, presentiamo un po’ il contesto della creazione delle torri. La costruzione di queste torri è iniziata nel medioevo con lo scopo di avvistare e difendere le coste dalle incursioni dei saraceni (venendo dall’Algeria, dalla Tunisia) o anche di turchi e equipaggi barbareschi. Quando una minaccia era individuata, la guardia della prima torre a vederla, accendeva un fuoco di giorno come di notte, per segnalare col fumo (di giorno) e con la fiamma (di notte) l’emergenza. Questo segnale era trasmesso da una torre all’altra con la vigilanza delle guardie che vedevano il segnale su una delle due torri intorno, poi ripetendo il segnale per trasmetterlo alla torre successiva. Questo permetteva di formare una catena d’informazione ed allertare le popolazioni.

Per quanto riguarda alla tipologia delle torri, sono state costruite e modificate durante vari periodi, dal medioevo in poi, seguendo i cambi di potere nella regione:

  • le torri rotonde, così dette “angioine”, datano del ~1200′-1400′
  • le torri quadrate, così dette “aragonesi”, datano del ~1500′
  • le torri con restauri ulteriori del periodo borbonico, nel ~1700′-1800′

Secondo Salvatore Ferraro, le torri non hanno raggiunto loro scopo perché non sono riuscite a difendere il commercio (di grano) e neanche a proteggere delle rapine. Infatti, il 13 giugno 1558 è successo il saccheggio di Sorrento durante la festa di Sant’Antonio. Si racconta che la popolazione dormiva, con la versione popolare come “pia scusa del traditore che ha aperto le porte” secondo Ferraro, le cronache spiegando il fatto di una popolazione dormiente. Tutta la penisola è stata colpita, malgrado l’esistenza delle torri, una grande parte dei suoi abitanti scappò fin sul Monte Faito.

Perciò, gli abitanti si sono basati in altezza sulla costiera amalfitana, per poter scappare e difendersi meglio.

È importante anche di sapere che la difesa delle coste meridionali era una difesa delegata alle città dal potere centrale spagnolo, durante il periodo aragonese, per esempio. Infatti, ogni torre era armata e difesa dagli abitanti vicino alla torre.

Poi, le torri sono state curate fino alla caduta dei Borboni e l’Unità d’Italia. Durante l’era borbonica erano curate dagli enti pubblici, dai comuni – che non le mantenevano bene, com’è stato il caso a Punta Campanella – dato anche del fatto che la manutenzione di queste torri era molto costosa per i comuni.


Riguardo all’influenza delle torri nell’arte, molti viaggiatori, pittori, artisti ospitati nella regione, sono stati ispirati attraverso i secoli, come il ballerino Nureyev che ha creato il suo rifugio artistico nella torre dei Galli.


Inoltre, durante la lunga storia delle torri, alcuni ebrei furono nascosti nelle torri durante la seconda guerra mondiale, c’è una storia locale che tratta di un autoctono col fischietto che segnalava l’arrivo dei controlli della prefettura, così potevano scappare.

Le torri dell’AMP di Punta Campanella, dal Capo Germano fino a Capo di Sorrento:

  • Li Galli: torre molto importante per fare il legame tra la costa ripita dove non c’era una torre o abitanti e le altre torri intorno.
Torre dei Galli vista delle Mortelle
  • Sant’Elia
  • Crapolla (o di San Pietro ad Capona)
Torre di Crapolla vista dalla chiesetta di San Pietro e San Paolo
  • Recommone
  • Marina del Cantone
  • Montalto (o della Mortella)
Torre di Montalto vista dal mare
  • Minerva (Punta Campanella): la sua prima versione è stata costruita nel 1200′, e la sua forma successiva nel 1500′. Prima, al suo posto, si trovava un tempio dedicato alla dea Minerva.
Torre di Punta Campanella (Minerva) vista dalla baia di Ieranto
  • Fossa di Papa
  • Vaccola (Punta Baccoli)
  • San Lorenzo
  • Capo Corbo (Capo Corvo)
  • Capo di Massa (o di Vilazzano)
  • Capo di Sorrento: torre scomparsa.

Per concludere, come sottolinea Ferraro, bisogna fare di queste torri un museo all’aperto perché si tratta di un’opera importantissima. Don Mario durante la conferenza ha aggiunto che è fondamentale far capire la ricchezza della cultura e l’importanza della sua conservazione ai ragazzi e ai giovani.

Il territorio di Massa è tanto ricco di patrimonio culturale e storico, c’è bisogno di sensibilizzare a proposito di questo ma anche di conservarlo.

¹ Per saperne di più, raccomando la lettura di ERCOLINO, Romolo, Sentinelle di pietra – le Torri di Guardia e di Difesa della Costiera di Amalfi e di Sorrento, Nicola Longobardi Editore, Castellammare di Stabia, 2022.

Paul Descoeur

Stato d’animo di Ieranto : una storia personale

Tutte le persone che sono passate attraverso questo progetto, più o meno, condivideranno pensieri, ricordi e momenti simili di Ieranto. È un luogo che attira tutti, compreso il nostro gruppo e me, naturalmente, e per questo ho voluto condividere la mia esperienza e i miei ricordi estivi. Penso che potrebbe essere molto divertente, non solo per chi vuole partecipare a questo progetto, ma anche per chi si chiede cosa facciamo tutti i giorni su questi kayak, durante tutta l’estate sotto il caldo, e perché ci piace così tanto.

Credo che tutto sia iniziato quando abbiamo visto Ieranto per la prima volta. Non eravamo ancora tutti insieme, ma questo ha dato a quelli che c’erano un’idea di quello che stava per succedere. Era una bella giornata di primavera (soleggiata e fresca) e stavamo facendo un’escursione verso San Costanzo, la chiesa che si trova proprio sopra Ieranto, uno dei punti più alti della zona. E poi l’abbiamo visto. Era lì, proprio sotto di noi, con le ali aperte, il falco della baia. Il nome Ieranto ha radici greche: può derivare sia dalla parola ιέραξ, che significa “falco”, sia dalla parola ιερό, che significa “sacro”. In quel momento, sul sentiero, ho capito perfettamente che entrambe queste etimologie potevano essere ugualmente vere. Guardando Ieranto da lì si può vedere la forma di un falco che viaggia intorno, e anche la bellezza di questo luogo, che lo rende una sorta di terreno sacro.

Finalmente, dopo settimane di ritardo, siamo riusciti a iniziare le nostre attività nella baia a metà giugno. Questa volta la squadra era quasi al completo (mancava solo Olivier). Ci siamo incontrati tutti nella piazza di Nerano, il piccolo paese che si trova esattamente prima del sentiero che ci porta a Ieranto. Ci siamo seduti intorno alla mappa della zona e ci siamo scambiati alcune informazioni di base su dove ci trovavamo e su ciò che stavamo per vedere. L’adrenalina cominciava a salire. Stavamo per conoscere il luogo in cui avremmo trascorso il resto dell’estate! Ricordo di aver guardato le facce di tutti: alcune erano nervose, altre entusiaste come me e altre ancora perse in pensieri ad occhi aperti.

Mimì spiegando la mappa, sulla piazza di Nerano

Andavamo a Ieranto in squadre: alcuni via terra e altri via mare con i kayak di Marina del Cantone. Io ero nella squadra dei kayak! Quando siamo riusciti a portare fuori tutta l’attrezzatura necessaria (pagaie, giubbotti di sicurezza, kayak, borse waterproof per le nostre cose) e a prepararci (costume da bagno, cappello, occhiali da sole, maglietta ed acqua), sono iniziate le istruzioni di Mimì (il nostro coordinatore). Come si siede sul kayak, come si tengono le pagaie, come si naviga in mare? Informazioni, informazioni, informazioni. È interessante come tutte queste informazioni che ci sono state date in quel momento, senza che ce ne rendessimo conto, si siano poi impresse nel nostro cervello grazie all’esperienza. Abbiamo fatto il primo viaggio in kayak più bello che si potesse desiderare. Pagaiando in mare, visitando grotte, pulendo un po’ qua e là, evitando le onde e magari indolenzendoci un po’. I nostri muscoli non erano ancora allenati per sopportare il viaggio di 40 minuti fino a Ieranto, ma questo non ha reso l’esperienza meno entusiasmante di quanto sia stata.

Quando sono entrata nella baia, ricordo il vento che mi soffiava in faccia e l’acqua che mi circondava che mi portava verso la piattaforma. Ricordo di aver fatto una vera e propria faccia di “wow” e l’adrenalina che saliva per la seconda volta quel giorno. Osservare la piccola spiaggia, le scale che portavano agli edifici che facevano parte del complesso della cava che per anni è stata a Ieranto, la piattaforma di pietra, la spiaggia più grande con grotte su entrambi i lati, le scogliere che circondano tutta la baia che ti inghiottono e ti fanno rimanere i piedi a terra, la natura che mi circonda… La parte più bella di tutto questo è che siamo arrivati prima via mare. Ci siamo goduti tutta la bellezza, osservando ciò che avevamo visto prima dall’alto verso il basso, esattamente dalla parte opposta, verso l’alto. Ripensandoci, è una sensazione molto strana quella che si prova quando si vede o si percepisce un luogo per la prima volta. È sempre unico e puro, una tabula rasa. Non c’è nessun ricordo che lo circonda, nessun ricordo di tempi precedenti, nessuna idea di come sia realmente. Non c’è nulla che possa rovinarlo. Provate a immaginare la prima volta che camminate/guidate/andate in bicicletta in una strada che poi iniziate a percorrere più volte… Tutto è vivo, colorato, emozionante e sonoro. La tua curiosità assorbe tutti i dettagli, senza forse elaborarli. Sono solo stimoli su cui il cervello si sofferma ed elabora, quando finalmente si capisce come funziona un luogo. Di solito questa magia si perde man mano che ci si abitua, ma fortunatamente non è questo il caso di Ieranto.

Abbiamo esplorato tutte le grotte, siamo andati alla grande spiaggia, abbiamo nuotato, ci siamo tuffati dalla piattaforma, abbiamo fatto snorkeling, abbiamo respirato tutto… Abbiamo parlato delle nostre responsabilità lì e di come sarebbe stata l’estate. Tutti noi ascoltavamo, ma nessuno di noi capiva esattamente. Descrivere la realtà in Ieranto non è una cosa facile. La giornata è servita come primo allenamento per noi, un allenamento per tutte le attività che stavano per iniziare, oltre che come primo incontro con la nostra “casa” per il resto dell’estate.

Il percorso per raggiungere Ieranto da terra è altrettanto emozionante: da Nerano parte un sentiero escursionistico che porta alla baia lungo 30 minuti. Può essere impegnativo in alcuni punti, soprattutto durante la risalita, ma se ci metti un po’ di tempo, ti assicuro che imparerai a godertelo. Il sentiero è circondato dalla natura e dalla costante presenza del mare all’orizzonte. Panorami bellissimi qua e là e, dopo un certo punto, hai Capri davanti a te. Sembra di poter toccarla, tanto è vicina. Quando si arriva a quel punto si sa che si sta arrivando alla baia o, se si sta tornando indietro, che la parte ripida sta per finire. E sai anche che è arrivato il momento del caffè di Salvatore, il più buono che tu abbia mai assaggiato, con una vista perfetta e la migliore compagnia. Ho sempre apprezzato questi momenti e credo che pure gli altri gli hanno apprezzati. Sono momenti di calma e di riposo, in un periodo in cui non ci sono molti.

La vista dal balcone di Salvatore
La vista giusto sopra la piataforma

Le nostre attività a Ieranto sono state per lo più le stesse ogni giorno, pur avendo naturalmente qualche sorpresa lungo il percorso. Quello che facciamo di solito dopo l’arrivo è: prendere i kayak necessari, le tabelle impermeabili per conservare i dati, sistemare un punto informativo in cui lavoriamo insieme al FAI (che possiede e gestisce la baia di Ieranto –a terra– durante tutto l’anno), preparare le possibili escursioni durante la giornata e organizzare i nostri turni sia per il monitoraggio via terra che per quello via mare. Questo tipo di routine è stato stabilito dall’inizio e ogni volta, a seconda della coppia che lavorava, regolavamo i turni di conseguenza.

Poiché Ieranto fa parte della Zona B dell’Area Marina Protetta di Punta Campanella, è necessario impedire alle imbarcazioni a motore non autorizzate di entrare e soprattutto di ancorare nelle sue acque. Questo è la parte del monitoraggio a mare con i kayak. Ieranto è caratterizzata dalla presenza di praterie di Posidonia oceanica, una fanerogama molto importante per il bacino del Mediterraneo, che fornisce ossigeno e aumenta la biodiversità del mare. Il processo di avvicinamento alle barche è sempre un’esperienza. Ognuno di noi ha il proprio modo di spiegare loro perché non possono restare qui o di chiedere loro alcune informazioni di base, quello che rende tutto molto interessante. Si capiscono le diverse personalità di ognuno e i modi di interagire. Naturalmente ci sono stati casi in cui abbiamo remato dietro alle barche, nei nostri piccoli kayak gialli, salutando e facendo segni per evitare che facessero il peggio: gettare l’ancora e distruggere le praterie. Non tutte le persone sulle barche non autorizzate accettavano il fatto di non poter stare nella baia, ma molte di loro erano interessate a ciò che dicevamo e capivano quanto sia importante che Ieranto sia preservato e protetto. Sono entrate anche barche autorizzate, che hanno usato le boe per rimanere un po’ sulla baia e godersi la sua magnificenza. Queste barche erano piene di facce famigliari, accompagnate da gruppi di turisti. Dopo un po’ abbiamo imparato a riconoscere da lontano le barche autorizzate e tutti avevamo le nostre preferite, quelle con cui preferivamo interagire di più. Anche con loro abbiamo dovuto tenere dei dati per essere sicuri di essere consapevoli del loro utilizzo della baia.

La parte successiva delle attività è stata quella delle escursioni. Gruppi di turisti che visitavano Ieranto e volevano conoscerla meglio. Potevano fare una visita guidata con i kayak o un’immersione guidata con lo snorkeling, o entrambe. Alcuni gruppi erano più numerosi di altri, alcuni più motivati, altri più interessati, ma tutti condividevano l’entusiasmo di esplorare Ieranto. Dopo un certo punto abbiamo anche avuto la possibilità di fare delle visite guidate e di fornire tutte le informazioni che avevamo raccolte durante la nostra esperienza lì. Parlare della storia della baia, delle specie animali che ne caratterizzano alcune parti, degli elementi naturali che la definiscono e condividere con loro l’amore che abbiamo per questo luogo. Ci sono stati giorni in cui è stato necessario l’intervento di tutta la squadra, poiché abbiamo avuto grandi gruppi di persone in visita a causa di eventi speciali. Ogni giorno c’erano di solito solo 2-3 volontari, con una responsabile (Gianna o Alba), e i lavoratori del FAI. In quei giorni potevamo essere almeno in 10 a lavorare contemporaneamente, rendendo la situazione piuttosto stressante e caotica. Soprattutto le prime settimane, in cui non avevamo molta esperienza con gruppi numerosi, hanno fatto emergere alcuni problemi di organizzazione. Alla fine, però, è stato sorprendente il modo in cui siamo riusciti a evolverci, come tutto funzionava come una macchina ben oliata, come tutti sapevano esattamente cosa si doveva fare, come tutti aiutavano in tutto senza nemmeno rendersene conto, come ci adattavamo simultaneamente quando qualcosa non andava secondo i piani.

Escursioni con un gruppo americano

Eravamo costantemente circondati da tutte le persone del FAI, che ci assistevano e fornivano informazioni insieme a noi a tutte le persone che entravano nella baia, rendendole consapevoli della bellezza e della storia del luogo che stavano per vedere, oltre a sensibilizzarle sulla sua necessità di essere protetto e rispettato. Ho tanti bei ricordi di discussioni con i visitatori, sia via terra che via mare. È stato anche commovente scoprire che le persone condividevano l’apprezzamento che abbiamo per questo luogo e rispettavano il lavoro che stavamo facendo. Credo che tutti noi ricordiamo momenti divertenti con visitatori appassionati.

E poi c’è la parte del ritorno a casa dopo una lunghissima giornata al mare. I due piedi che ti hanno portato giù, ti portano su. Con il caldo e la stanchezza che a volte ti danno fastidio, ma per lo più non ti danno fastidio. Perché c’è la sosta caffè, come ho già detto, e poi si arriva a Nerano dove si rilassa e si gode un po’ della vita del posto, giocando al calcio con i bambini o bevendo un piccolo aperitivo. Si ride, si parla dei momenti più belli della giornata e si ringrazia il proprio corpo per la fatica fatta. Poi si torna a casa dalla “famiglia” dei volontari, si mangia insieme, si gode la notte d’estate e si recupera il ritardo. Alla fine dell’estate si vivono tante giornate simili ma uniche allo stesso tempo e si chiede come sia stato possibile per me sopportare un’estate come questa con tanta facilità. Questa domanda me la pongo ancora. Non mi sarei mai aspettata che il mio corpo e la mia volontà diventassero così forti. È così interessante vedere l’evoluzione mentale e fisica che abbiamo avuto tutti durante questi mesi.

Anche a novembre, quando siamo andati a fare le ultime cose che dovevano essere fatte, Ieranto non aveva perso il suo carattere. Ho potuto nuotare nelle sue acque un’ultima volta, insieme a un uccello marino che stava pescando a pochi metri da me. Perché è questo che si ottiene quando ci sta lì: un equilibrio tra uomo e natura. Abbiamo visto razze, banchi di barracuda, stelle marine più grandi dei nostri palmi e tante altre cose che di solito si dimenticano quanto possano essere impressionanti. La natura è parte di noi e Ieranto continua a ricordarcelo.

Credo che la parte più bella di Ieranto sia nascosta in due punti diversi. Vorrei sapere se altri condividono la mia stessa opinione, ma in realtà questa è la parte più soggettiva di questa voce. La prima parte è il legame che è riuscito a creare tra tante persone diverse e questo è avvenuto soprattutto grazie al Progetto M.A.R.E. Il fatto di portare ogni anno dei volontari a lavorare crea una catena di persone che amano un luogo molto specifico. Ma non sono solo i volontari e le persone che gestiscono il Progetto a far parte di questa catena. Sono gli abitanti del luogo, le persone del FAI che ci hanno appoggiato costantemente, i visitatori, ogni gruppo che è passato per una visita guidata, tutti quelli con cui abbiamo parlato su queste barche. Questa catena è ciò che rende Ieranto così speciale. È un luogo in cui si percepisce l’energia positiva e amorevole di una comunità.

 

Una piccola parte della catena di persone circondando Ieranto

La seconda parte che per me definiva i miei sentimenti per Ieranto è l’esperienza di essere da solo in un kayak in mezzo al mare. Non so se riesco a spiegarlo alle persone. È una sensazione di umiltà. Sei lì, circondato dal blu, da rocce che cambiano forma ogni ora del giorno, dalla natura. Si vive nel presente. Non c’è nulla prima o dopo quel momento, perché in quel momento sei lì. Aspettando una barca, facendo un’immersione per rinfrescarsi, facendo un piccolo giro con il kayak qua e là. Ma siete sempre lì. Sei tu, i tuoi pensieri e la pagaia. Puoi accettarlo e godertelo o sopportarlo. Io ho scelto la prima e la consiglio a tutti i futuri volontari.

Se vi capita di visitare Ieranto, ricordatevi sempre che ci siamo stati anche noi. Che ogni luogo ha una storia condivisa e che anche i vostri ricordi di quel luogo riemaneranno lì, rendendo Ieranto ancora più prezioso. Perché i ricordi sono preziosi e di valore. Ricordate che probabilmente abbiamo una storia da raccontare e chiedete a tutte le persone che amano Ieranto perché lo adorano così tanto. Sono sicura che vi renderete conto che tutti questi sentimenti inespressi sono in qualche modo simili tra loro.

Xenia Symeonidou

Fioritura della Posidonia : un evento pieno di speranza

La Posidonia oceanica è una specie endemica del Mar Mediterraneo. Questa fanerogama di grandi dimensioni e a crescita lenta si sviluppa su rocce e fondali sabbiosi in acque pulite, dalla superficie a oltre 40 metri di profondità (Hemminga e Duarte 2000). La posidonia costituisce formazioni caratteristiche chiamate “praterie di posidonia” o “letti di posidonia” che sono habitat molto importanti nell’ecosistema marino. Queste estese praterie forniscono habitat e nutrimento a molte specie di pesci, crostacei, molluschi, briozoi ed a molte specie di piante. Le foglie della Posidonia riducono la velocità della corrente proteggendo la spiaggia dall’erosione e le praterie producono anche grandi quantità di ossigeno attraverso la fotosintesi, contribuendo all’assorbimento delle emissioni di CO2 grazie alla sua elevata capacità di fissazione del carbonio. Per la sua importanza, le praterie di posidonia costituiscono un habitat protetto dalla legge europea (Habitat prioritario nella Direttiva ‘Habitat’ 92/43/CEE). Purtroppo, negli ultimi decenni le praterie di posidonia stanno subendo una regressione, soprattutto a causa della pesca a strascico e dell’ancoraggio, due attività che causano gravi danni alle praterie.

La Posidonia si propaga principalmente attraverso la riproduzione vegetativa tramite l’allungamento dei rizomi e le talee. Tuttavia, la Posidonia può anche riprodursi per via sessuale, il che aumenta la ricombinazione genomica, favorendo l’adattamento e aumentando la resilienza della specie ai cambiamenti ambientali. Possiamo quindi affermare che la Posidonia può fiorire anche sotto il mare, evento che si verifica di rado, in autunno, ogni cinque-dieci anni. I fiori sono ermafroditi, cioè maschi e femmine allo stesso tempo. I frutti richiedono dai 6 ai 9 mesi per maturare. Tra maggio e luglio si staccano e galleggiano per un po’, per poi finire sulle spiagge.

L’anno scorso il progetto M.A.R.E. ha partecipato a un’indagine per raccogliere informazioni e campioni di Posidonia per conto del Ministero della Transizione Ecologica italiano. L’indagine è stata condotta nell’Area Marina Protetta Regno di Nettuno, che comprende le isole di Ischia, Procida e Vivara. Durante lo svolgimento di questa attività, a fine ottobre e novembre, abbiamo osservato un grande evento di fioritura che si stava verificando non solo nel Regno di Nettuno ma anche a Punta Campanella, come abbiamo scoperto in seguito. Le misurazioni effettuate nel Regno di Nettuno indicavano un’alta densità di fiori: abbiamo trovato da 10 a 30 fiori di Posidonia in quadratini di 40 cm x 40 cm. Questa abbondanza di fiori ha avuto come conseguenza una grande produzione di semi, che sono finiti sulle spiagge in grandi quantità, e questo è ciò che osserveremo prossima primavera nel litorale campano. Vi invitiamo ad aprire gli occhi durante le vostre passeggiate in spiaggia per osservare questo insolito fenomeno. Sulla spiaggia si trovano i frutti della Posidonia, le cosiddette “olive di mare”.

Ma perché questo accade? Studi sulla Posidonia marina suggeriscono che la fioritura è principalmente legata alle alte temperature e, in effetti, Ruiz et al. (2018) hanno scoperto in uno studio sperimentale che l’esposizione al calore può servire come innesco primario della fioritura nella Posidonia. Normalmente, le temperature molto elevate stressano la Posidonia, inibendone la crescita. Pertanto, per una pianta sessile, la produzione di semi è la migliore strategia di fuga per superare le condizioni di stress. È probabile che fattori diversi dalla temperatura ambientale, tra cui fattori genetici, fisiologici e legati all’età, siano coinvolti nel determinare della fioritura. Nonostante non tutti i fattori che influenzano questo fenomeno siano ben compresi, la fioritura della Posidonia sembra essere una strategia di speranza nel contesto del riscaldamento globale. C’è un notevole spazio per l’ottimismo, poiché sembra che la nostra stimata fanerogame possano rispondere all’aumento della temperatura in modi più plastici, più complessi e potenzialmente più resilienti di quanto immaginato in precedenza. Nonostante non siano state pubblicate prove scientifiche di questo evento straordinario avvenuto lo scorso anno, esperti come Gabriele Procaccini della Stazione Zoologica Anton Dohrn (Napoli) hanno confermato che l’abbondanza di fiori è qualcosa che non si era mai visto in quest’area. Se siete interessati a saperne di più su Posidonia e su questo straordinario evento, vi invitiamo a guardare il seminario “Le Praterie sommerse del Mediterraneo” della Stazione Zoologica Anton Dohrn.

Claudia Gaspar García

Bibliografia

Hemminga, M. A., & Duarte, C. M. (2000). Seagrass ecology. Cambridge University Press.
https://www.cambridge.org/core/books/seagrass-ecology/53A7465F196885C57CF1977DF226C77D
https://books.google.it/books/about/Seagrass_Ecology.html?id=uet0dSgzhrsC&redir_esc=y

Luque, Á. A., & Templado, J. (2004). Praderas y bosques marinos de Andalucía. Junta de Andalucía, Sevilla.
https://uicnmed.org/bibliotecavirtualposidonia/wp-content/uploads/2014/12/Praderas-y-bosques-marinos-de-Andalucia_Praderas-marinasF_Intro-y-Posidonia-oceanica_Part1.pdf

Ruiz, J. M., Marín-Guirao, L., García-Muñoz, R., Ramos-Segura, A., Bernardeau-Esteller, J., Pérez, M., Sanmartí, N.,Ontoria, Y., Romero, J., Arthur, R., Alcoverro, T. & Procaccini, G. (2018). Experimental evidence of warming-induced flowering in the Mediterranean seagrass Posidonia oceanica. Marine pollution bulletin134, 49-54.
https://www.szn.it/images/pubblicazioni/97._Ruiz_et_al_2017.pdf

Procaccini, G. (2022, June 9). Le Praterie sommerse del Mediterraneo [Video file]. Stazione Zoologica Anton Dohrn, Napoli. Retrieved from
https://www.youtube.com/watch?v=KhEXIdFlnJQ

Immersione archeologica nello scavo di Crapolla

Quest’anno, dal 6 fino al 20 settembre, abbiamo avuto l’opportunità di partecipare a una campagna di scavo archeologico a Crapolla.

Questo scavo è coordinato dal 2016 dall’università Federico II di Napoli (dipartimento di studi umanistici) con la partecipazione e l’aiuto dell’Archeoclub di Massa Lubrense.

Lo scavo si trova sopra il fiordo di Crapolla, dietro della chiesetta. Infatti, l’abbazia San Pietro edificata nel 11° secolo sorge con le sue rovine nascoste dietro della chiesa moderna di San Pietro e San Paolo – datando del 1949.
Di particolare importanza è la notizia del soggiorno, presso l’abbazia, tra il 1530 e il 1533, di due famosi monaci benedettini, i fratelli Teofilo e Giambattista Folengo. Teofilo Folengo, in particolare, anche conosciuto come “Merlin Cocai”, grande poeta maccheronico, ha descritto la sua vita nella penisola sorrentina attraverso la sua opera Varium Poema. Suo fratello Giambattista ha, da parte sua, evocato l’eremo di Crapolla nel tredicesimo libro dei suoi Polimones¹.

Ruderi dell’abbazia dietro della chiesetta

Lo scopo delle varie campagne di scavo, condotte principalmente nell’area del chiostro (claustrum), è stato quello di capire quali fossero le varie fasi di frequentazione e di abbandono dell’abbazia e delle zone ad essa attinenti.

Il nostro aiuto come volontari del Project M.A.R..E. è stato di partecipare alle attività di scavo, di pulizia, di inventario ma anche di preservazione del sito, seppellendolo di nuovo perché al termine delle attività si coprono con il terreno le evidenze archeologiche al fine di prevenire dalla distruzione quello che è stato messo in luce nel corso della campagna di scavo.

Concretamene, in quello che riguarda i due giorni in cui ho partecipato, abbiamo tolto il terreno e le tele che coprivano lo scavo dall’anno scorso. È stato un lavoro di pulizia ma anche l’occasione di capire come si gestisce uno scavo. Con secchielli, cazzuole (anche chiamate specificamente con la parola inglese “trowel”), scopette, pale e picconi abbiamo iniziato la riscoperta delle ruderi includendo i nuovi saggi archeologici del chiostro.

Poi, l’ultimo giorno abbiamo pulito lo scavo di maniera attenta per permettere di scattare foto dei risultati della campagna di quest’anno. Abbiamo pure aiutato a realizzare l’inventario dei saggi scoperti. Pedro ha anche avuto la fortuna (e lo sguardo meticoloso) di trovare una conchiglia pietrificata con resti di intonaco all’interno – che serviva probabilmente come elemento decorativo sui muri del chiostro! Alla fine delle operazioni di pulizia, la squadra ha scattato delle foto dello stato dello scavo sia a terra che con l’aiuto di un drone! Poi, finalmente, abbiamo seppellito di nuovo gli scavi con terreno, pietre e tele, per proteggerli fino alla prossima campagna di indagini.

Per riassumere, questa esperienza è stata una bella immersione nell’ambito archeologico in presenza di studenti, specializzandi e dottorandi molto simpatici, che ci hanno fatto scoprire il loro mondo con simpatia e passione!

Gruppo dell’ultimo giorno

Per ciò, vorrei ringraziare col cuore tutta la squadra dell’università Federico II di Napoli: la dottoressa Maria Teresa Cavallaro, Vittoria, Maria, Alessia, Giulia, Luciano e Raffaela ma anche la dottoressa Elena Russo e la professoressa Bianca Ferrara. Ringrazio per finire l’Archeoclub di Massa Lubrense e Mimì per averci dato l’opportunità di partecipare a quest’avventura unica!

Gli archeolocos vi salutano!

Incontro di 'archeolocos' alla fine della campagna di scavo

¹ Per saperne di più a proposito dei Folengo, raccomando la lettura di Giornate di Studio – I Folengo nella terra delle sirene, a cura di Valerio TERRECUSO, Nicola Longobardi Editore (2020).

Paul Descoeur

Gita di studio all’Aquario di Napoli

Entrance of the Aquarium
Entrance of the Aquarium

Il comunemente chiamato “Acquario di Napoli”, situato nella Villa comunale, è una parte della Stazione Zoologica di Napoli creata da Anton Dohrn nel 1872, con lo scopo di studiare la vita marina come parte della scienza evolutiva. Anton Dohrn e Charles Darwin ebbero infatti una ricca corrispondenza e una stretta collaborazione.

L’Acquario è una delle più antiche strutture di questo tipo in Europa, aperta al pubblico dal 1874. La Stazione Zoologica e il suo acquario erano molto avanzati per l’epoca, consentendo ai biologi ricercatori di discutere tra loro, di avere accesso a materiali e laboratori ma anche di ottenere fondi e di diffondere le conoscenze al pubblico.

L’esposizione delle specie è fatta in modo da permettere di attraversare i diversi ambienti marini del Mar Mediterraneo e più in particolare quelli del Golfo di Napoli, con un’altra attenzione alle sue specie invasive. Una delle particolarità di questo acquario è anche il fatto che l’acqua delle vasche viene raccolta direttamente dal Golfo – che si trova a pochi metri di distanza –, e che i manufatti romani esposti nelle vasche sono autentici pezzi archeologici locali.

Paguro in simbiosi con tre anemoni
Paguro in simbiosi con tre anemoni

Quando siamo entrati nell’acquario, la prima cosa che abbiamo visto è stato un paguro in simbiosi con degli anemoni, poi siamo entrati in una grande sala con pareti bianche composta da molte finestre con colonnette nere, che indicano l’antichità dell’edificio  Attraverso queste finestre si possono vedere tutte le diverse vasche e i vari habitat del Golfo di Napoli.

Esempio di vasca – l’ambiente di piattaforma
Esempio di vasca – l’ambiente di piattaforma
Acque costiere superficiali
Acque costiere superficiali

In primo luogo, abbiamo osservato da vicino l’ambiente delle acque costiere superficiali [profondità: 0-1/2 m; temperatura: 13-28°C], e abbiamo visto ricci di mare maschi, capelli di Venere, bavose bentoniche e gobidi con colorazioni che si adattano al loro ambiente. Abbiamo anche osservato la comunissima Sarpa salpa (orata) e il pomodoro di mare (Actinia equina), piuttosto solitari.

Zoom su germogli di Posidonia
Zoom su germogli di Posidonia

In secondo luogo, abbiamo osservato le praterie di Posidonia [profondità: 0-30 m; temperatura: 15 -25°C]. La Posidonia oceanica fornisce substrati per i pesci, stabilizza i sedimenti con le sue radici e contribuisce a combattere l’erosione dei fondali e della riva quando lascia cadere le foglie ogni 6-10 mesi. In questo habitat abbiamo potuto osservare anche un tunicato (patata di mare), che funziona come filtro marino, e le orate bianche (Diplodus sargo), molto affini e adattate alle praterie di posidonia. Infine, abbiamo parlato di altri due pesci il cui rapporto aiuta a misurare gli effetti del cambiamento climatico sul Mediterraneo: la donzella pavosina (Thalassoma pavo), che è termofilo e quindi trae vantaggio dall’aumento delle temperature, e la donzella (Coris julis), che preferisce le acque temperate.

In terzo luogo, si è intravisto l’ambiente roccioso [profondità: 30-40 m; temperatura: 15-24°C], tra cui i pesci pappagalli (del genere Sparisoma) che un tempo si trovavano nella parte meridionale del Mediterraneo, ma che ultimamente sono diventati molto comuni nel Golfo di Napoli. Erano presenti anche scorfani (con aculei velenosi) e cetrioli di mare.

Ambiente coralligeno
Ambiente coralligeno

Abbiamo poi ammirato l’ambiente coralligeno [profondità: 40-200 m; temperatura: 15-24°C] ricoperto da margherite di mare (Parazoanthus axinellae) – che si possono trovare nella baia di Ieranto, nella parte più profonda -, e da gorgonia rossa (Paramuricea clavata) – che sono coralli privi di una struttura esterna dura. Gli animali presenti in questo habitat presentano una modificazione della loro forma che si adatta a luoghi non toccati dalle onde. La scarsa visibilità delle profondità marine influisce anche sul colore delle specie che ci abitano.

In seguito, abbiamo osservato l’ambiente di piattaforma [profondità: 40-200 m; temperatura: 15-18°C], con la presenza di piccoli gattucci, un tipo di squalo che vive sul fondo. Abbiamo potuto ammirare il riccio corona, che costituisce l’unica specie di riccio che vive in acque temperate ed è oggi molto minacciato. Questa specie è anche una reliquia del passato stretto collegamento tra il Mar Rosso e il Mediterraneo. In questo habitat erano visibili anche molti pesci trombette, con il loro caratteristico naso allungato che li aiuta a mangiare.

Poi abbiamo raggiunto il mare aperto [temperatura: 15-26°C]. In queste vasche abbiamo potuto vedere alcune perchie, pesci molto territoriali e opportunisti, che mangiano i resti del cibo dei polpi. Quando sono numerosi, la loro presenza indica che nelle vicinanze vive un polpo. In una di queste vasche è stato così, con uno polpo che viveva in un’anfora.

Polpo nascosto in un’anfora romana, circondato da perchie
Polpo nascosto in un’anfora romana, circondato da perchie
Murenario romano
Murenario romano

Due vasche d’acqua erano di particolare interesse storico. La prima è la vasca del murenario romano, un habitat artificiale simile a quello che si può trovare a Gaiola. Questo habitat era composto principalmente da murene e comprendeva la presenza di stelle marine spinose e di una cernia.

Un’altra vasca mostrava alcuni resti archeologici provenienti dal Golfo di Napoli, come un’anfora che offriva riparo a un lungo grongo.

Grongo nascosto in resti romani
Grongo nascosto in resti romani
Cavallucci marini e pesci aghi nascosti nelle alghe
Cavallucci marini e pesci aghi nascosti nelle alghe

Infine, alla fine della visita, abbiamo potuto vedere alcune vasche di pesci piatti (Bothus podas, rombo di re) e di Syngnathidae (cavallucci marini e pesci ago) che si mimetizzano nel loro habitat. Si è conclusa così una bella visita di questo acquario storico che ha rappresentato una formidabile occasione per conoscere meglio la vita marina del Mar Mediterraneo con particolare attenzione al Golfo di Napoli.

Vasca dei pesci piatti (rombi di re)
Vasca dei pesci piatti (rombi di re)

 

 

 

 

 

— Paul Descoeur